Studio Monti - Centro Gestione Stabili | FAQ domande frequenti
Amministrazione di condominio, manutenzione condominiale, ripartizione spese tetto condominiale, sostituzione caldaia condominiale, disinfestazioni, pulizia scale, revoca, rumori molesti. In questa sezione lo Studio Amministrativo Monti - Centro Gestione Stabili risponde alle domande più frequenti sulle problematiche condominiali.
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FAQ risposte alle domande frequenti
Aperture nel muro condominiale, modalità e condizioni
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Il muro di delimitazione dell’edificio condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., una proprietà comune, che può essere usata dai condomini. Una delle possibili modalità di utilizzo del bene comune è costituita dalla sua parziale modifica materiale per realizzare una apertura che consente di mettere il condomino che la esegue in collegamento con spazio che sì trova all’esterno dell’edificio. L’individuazione delle modalità che legittimano la realizzazione dell’opera costituisce una problematica che in numerose occasioni è stata esaminata dalla giurisprudenza, compresa quella della Cassazione più recente. L’analisi dei principi enunciati con quelle decisioni consente dì stabilire in quali casi le aperture sono consentite.
Ettore Ditta Avvocato La regola applicata è quella secondo cui negli edifici condominiali il proprietario di un singolo piano o porzione di piano può legittimamente utilizzare pure a proprio esclusivo vantaggio la corrispondente parte del muro maestro e, quindi, vi può aprire varchi di accesso, finestre o balconi oppure spostare le aperture già esistenti, a condizione però di non arrecare pregiudizio all’interesse del condominio o a quello di un altro condomino; e inoltre le modificazioni realizzate dal singolo condomino per ampliare a proprio vantaggio l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio sono sottoposte al divieto di alterarne la destinazione, quando rendano impossibile o comunque arrechino un apprezzabile pregiudizio alla loro funzione originaria, mentre devono essere considerate lecite in tutti i casi in cui l’utilità che ne riceve il singolo si aggiunge a quella originaria senza intaccarne l’efficienza a danno del condominio o di un altro condomino (Cass. sent. 8 febbraio 1962, n. 263 e in epoca successiva, fra le altre, Cass., sent. 26 marzo 2002, n. 4314; sent. 27 ottobre 2003, n. 16097; sent. 19 aprile 006, n. 9036 e sent. 19 dicembre 2007, n. 26796).
Varchi di accesso La situazione di comproprietà dell’intero muro perimetrale condominiale di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche quando costituisce un muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini; e di conseguenza il condomino può anche realizzare l’apertura, nel muro, di un varco di accesso a locali di sua proprietà esclusiva, ma alla duplice condizione, da una parte, di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro o la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi e di non alterarne la normale destinazione e, dall’altra parte, che le modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale (Cass., sent. 27 ottobre 2003, n. 16097). Costituisce invece una modalità di utilizzo abnorme del muro perimetrale, che non è legittima, l’apertura, da parte di un condomino, di un varco che consenta la comunicazione tra il proprio appartamento ed una altra unità immobiliare attigua, sempre di sua proprietà, che però fa parte di un edificio condominiale distinto, perché altrimenti il collegamento tra queste unità abitative determinerebbe inevitabilmente la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato, in aggiunta alla creazione di una eventuale servitù di passaggio a carico di un ipotetico ingresso condominiale sulla via pubblica (Cass., sent. 18 febbraio 1998, n. 1708). I principi appena riassunti trovano conferma in una delle decisioni più recenti emesse in materia (Cass., sent. 21 febbraio 2017, n. 4437).
Con riferimento al caso in cui un condomino aveva trasformato in autorimessa un vano di sua proprietà ubicato al piano terra dell’edificio condominiale, mediante l’allargamento di una finestra prospiciente la pubblica via che era diventata così la porta carraia di accesso al garage, gli altri condomini avevano lamentato che era stato parzialmente abbattuto il muro condominiale, pregiudicando la stabilità e la sicurezza dell’edificio e ledendo il decoro architettonico dello stabile, oltre a provocare l’appropriazione di una parte del muro perimetrale; e dopo avere promosso un ricorso per danno temuto ex art. 1172 cod. civ., accolto nella fase di reclamo, avevano citato in giudizio il condomino, chiedendone la condanna al ripristino della situazione preesistente e al risarcimento dei danni. In primo grado la richiesta di ripristino era stata accolta in considerazione della lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale, ma in appello era stata invece respinta perché, pur essendo stata ampliata l’originaria finestra larga 1,8o metri in un passo carraio largo 2,8o metri, leggermente più ampio rispetto al portone del palazzo, e pur avendo in apparenza modificato la precedente sequenza fra la finestra, il portone e la finestra, non sussisteva comunque una alterazione significativa del decoro architettonico, dal momento che la nuova apertura era stata munita di una porta con caratteristiche del tutto simili al portone vicino ( con bugne, riquadri e colore del tutto simili), richiamandolo così sotto il profilo estetico; inoltre secondo i giudici di appello non si poteva ritenere sussistente alcun deprezzamento con riguardo all’intero fabbricato e alle singole unità immobiliari, tenuto conto dell’aspetto architettonico complessivo dello stabile, risalente agli anni quaranta e non denotato da un particolare pregio, e del suo contesto caratterizzato dalla presenza di altri palazzi costruiti in aderenza con lo stesso stile, dalla sede stradale di dimensioni ordinarie e dalla zona estremamente appetibile per la strategica posizione centrale nella città, con la conseguenza che non risultava alcuna significativa alterazione e comunque essa non provocava un risultato esteticamente sgradevole, dal momento che appariva immutato lo stile architettonico della facciata. Infine i giudici di appello avevano considerato che l’alterazione del muro rendeva possibile una utilità assai rilevante per il condomino che l’aveva eseguita, costituita dalla possibilità di usufruire di un garage in una zona molto trafficata e caratterizzata da forti difficoltà di parcheggio. Nella fase successiva in cui la vicenda è approdata davanti alla Cassazione, la Suprema Corte, ribadendo il proprio orientamento in materia, ha affermato che:
• l’ampliamento o l’apertura di una porta o finestra, da parte di un condomino, o la trasformazione di una finestra che prospetta il cortile comune, in porta di accesso ad esso, mediante l’abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento, non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che compete a tutti i condomini (Cass., sent. 26 gennaio 1987, n. 703); inoltre il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche quando si tratta di un muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale (Cass., sent. 27 ottobre 2003, n. 16097 e sent. 14 novembre 2014, 1. 24295);
• l’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro che ricade fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, in generale integrano un abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, dato che non comporta per questi ultimi qualche impossibilità di fare pari uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, comma 1, cod. civ., ed è irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro sia determinata non dalla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio è stato creato il nuovo accesso, ma dalla volontà di ottenere una migliore fruizione di quella unità immobiliare per il suo proprietario (Cass., sent. 29 aprile 1994, I . 4155 e sent. 26 marzo 2002, 1. 4314);
• e in conclusione i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri condominiali, nelle parti ad esse corrispondenti, se l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudica la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.
Di conseguenza riguardo alla legittimità della trasformazione del muro mediante l’allargamento dell’apertura esistente in modo da trasformare la finestra in accesso carraio, la Suprema Corte ha confermato la correttezza della decisione di merito, secondo cui l’opera aveva costituito un semplice uso più intenso della cosa comune, consentito dall’art. 1102 cod. civ., senza che ciò causi alcuna alterazione del rapporto di equilibrio con gli altri comproprietari, dal momento che solo uno fra i condomini era in grado di poter usufruire, per le proprie esigenze, del varco in questione, trattandosi del proprietario esclusivo dell’unità immobiliare comunicante con l’esterno, e che inoltre l’allargamento eseguito aveva lasciato immutato lo stile architettonico della facciata, senza provocare una significativa alterazione del relativo decoro, tenendo conto delle linee e delle strutture caratteristiche del fabbricato stesso. In altra decisione, di poco precedente, la Suprema Corte ha affermato che pure nel caso di un edificio strutturalmente unico, in cui insistono due distinti ed autonomi enti condominiali, è illegittima l’apertura di un varco nel muro divisorio tra di essi, diretta a collegare locali di proprietà esclusiva del medesimo soggetto, tra loro attigui, ma ubicati ciascuno in uno dei due differenti fabbricati, in quanto una utilizzazione di questo genere comporta la cessione del godimento di un bene comune, come è, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., il muro perimetrale di delimitazione del condominio (anche quando non esercita una funzione portante), in favore di una proprietà che è estranea ad esso, con la conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è richiesto invece il consenso scritto di tutti i condomini (Cass., sent. 14 dicembre 2016, n. 25775). La decisione riguarda il caso di due diversi locali ad uso commerciale ubicati all’interno di uno stesso edificio, che però è suddiviso in due condomini distinti, dotati di accessi da civici e vie differenti; si tratta così di locali che, trovandosi tra di loro adiacenti in alcuni punti, vengono messi in collegamento mediante la realizzazione di un’apertura nel muro che divide i due condomini, per poter essere meglio utilizzabili. E in proposito la Suprema Corte ha escluso la legittimità dell’apertura, ribadendo quanto già enunciato da Cass., sent. 5 marzo 2015, n. 4501, Secondo cui l’apertura di un varco nel muro perimetrale per le esigenze del singolo condomino costituisce un uso più intenso del bene comune ai sensi dell’art 1102 cod. civ. e invece non è legittima – perché configura un uso abnorme del bene comune – quando il varco consenta la comunicazione tra il proprio appartamento ed altra unità immobiliare attigua, seppure di proprietà del medesimo condomino, ma ricompresa in un diverso edificio condominiale, dal momento che il collegamento tra tali unità abitative provoca inevitabilmente la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato e può determinare un’eventuale servitù di passaggio a carico di un eventuale ingresso condominiale su via pubblica, in quanto il varco crea un passaggio a cui il muro non era destinato; e che in quest’ultima ipotesi, affinché il comportamento illecito del condomino determini un danno risarcibile, occorre la prova di un concreto pregiudizio economico, la cui verificazione, in assenza di un’effettiva dimostrazione, si può ritenere soltanto possibile o probabile (Cass., sent. 6 febbraio 2009, n. 3035). E anche nel caso di un varco di passaggio preesistente nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, l’apertura di un ulteriore e differente varco da parte del singolo condomino non può essere considerata una semplice modalità di esercizio che amplia la preesistente facoltà o che è ricompresa in essa ai sensi dell’art. 1027 cod. civ., ma comporta un onere nuovo e diverso a carico del fondo servente, idoneo così a determinare la costituzione di una servitù ulteriore (Cass., sent. 18 settembre 2013, n. 21395).
Apertura di vetrine da esposizione nel muro
È stato precisato che le innovazioni sono costituite dalle nuove opere, che modificano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, perché ne rendono impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1, cod. civ.) nell’interesse di tutti i partecipanti; e che invece le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 cod. civ., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. E di conseguenza è legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. L’eventuale autorizzazione dell’assemblea di apportare la modifica ha il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini verso questo tipo di utilizzazione del muro comune (Cass., sent. 20febbraio 1997, n. 1554).
Apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale
Le modificazioni di un bene condominiale da parte del singolo condomino sono lecite quando, oltre a non comprometterne la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico ed a non alterare la destinazione del bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento delle parti comuni interessate alla modificazione e delle parti di loro proprietà. Nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, il condomino può apportare a tale recinzione, senza necessità del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, può anche realizzare l’apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare il precedente utilizzo del cortile (Cass., sent. 5 gennaio 2o0o, n. 42).
Installazione di porte o di cancellate nel muro
L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro che ricade fra le par-ti comuni dell’edificio condominiale, realizzati da un condomino per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, in generale non integrano un abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, dato che non comportano per questi ultimi qualche impossibilità di fare pari uso del muro ai sensi dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. e resta irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro sia motivata non dalla necessità di rimediare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio è stato creato il nuovo accesso, ma dall’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass., sent. 29 aprile 1994, n. 4155).
Apertura di nuove finestre
I principi ricordati valgono anche per le aperture di nuove finestre. Infatti un condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove finestre o ingrandire e trasformare quelle esistenti a condizione che non incidano sulla destinazione della cosa e non pregiudichino la stabilità e il decoro architetto-nico dell’edificio, nozione che integra l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio nel suo insieme, una sua determinata armonica fisionomia, pure nei casi in cui non si tratti di un fabbricato di particolare pregio artistico (Cass., sent. 16 dicembre 2004, n. 23459).
Trasformazione della finestra
La trasformazione in balcone o terrazza, ad opera di un condomino, di una o più finestre del suo appartamento, ampliando le finestre esistenti, a livello del suo appartamento, nel muro perimetrale comune e innestando esso lo sporto di base del balcone terrazza, non importa una innovazione della cosa comune, a norma dell’art. 1120 cod. civ., ma solo un uso individuale della cosa comune il cui ambito e i cui limiti sono disciplinati dagli arti 1102 e 1122 cod. civ. (Cass., sent. 31 maggio 1990, n. 5122).
Legittimazione processuale
In relazione alle controversie condominiali, la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio prevista dall’art. 1131, comma 2,cod. civ., sussiste anche con riguardo alla proposizione di qualunque mezzo di gravame necessario relativamente ad ogni tipo di azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino; questa legittimazione trova la sua ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio per quanto riguarda le parti comuni dello stabile condominiale, che comprendono anche quelle esterne adibite all’uso comune di tutti i condomini e quindi, in presenza di una domanda di condanna all’eliminazione di un varco nel muro di cinta condominiale aperto per consentire ai condomini l’esercizio del passaggio sulla strada di proprietà dei confinanti, ai fini della decisione pregiudiziale sull’azione che contesta l’esistenza di una servitù non è necessaria l’integrazione del contraddittorio e la decisione può essere validamente adottata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore, perché interessa l’intero edificio condominiale e non già le singole proprietà esclusive dei condomini. Inoltre, dal momento che l’esistenza di un organo rappresentativo unitario dell’ente, quale l’amministratore, non priva i singoli condomini della facoltà di agire in giudizio a difesa dei diritti esclusivi e connessi inerenti l’edificio condominiale, ciascun condomino resta sempre legittimato ad impugnare personalmente, anche per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti del condominio (Cass., sent. 4 maggio 2005, n. 9206).